mercoledì 28 novembre 2012

CRONACA PRELAVORATIVA CON ANNESSI E CONNESSI

Martedì pomeriggio, su Firenze scoppia una bomba d'acqua. Continua a piovere torrenzialmente fino a sera. MR deve uscire per recarsi al lavoro, non prima di essersi sbronzata con un pacco di cornetti mignon al cioccolato. "Sono la mia cena!"  millanta spudoratamente a se stessa, pensando che, questione di istanti e, la ricotta che ha adocchiato in frigo entrerà, spalmata, su una fetta di pane nelle sue voraci fauci.
MR guarda l'ora. È tardi.
Decide di vestirsi. Abito da concerto, calzettoni norvegesi sopra i collant, stivali (le scarpine tacco dodici scamosciate con bordini in vernice nere da bambolona deficiente le porterà con sé in una busta e le calzerà in teatro per non farle bagnare). Cerca disperatamente i calzettoni norvegesi, li trova ammucchiati in mezzo al letto, li prende, vede una zanzara, la insegue fino ad una parete della cucina, l'ammazza premendole contro i calzettoni norvegesi che, dopo la soppressione del molesto insetto, poggia vicino al portapane. Si vestirà dopo aver mangiato. Mentre affetta il pane, Gea punta la ricotta, la lecca. MR urla belluinamente, quella ricotta è sua, solo sua; come per Mimì la cuffietta, come per Demi Moore il vaso d'argilla, come per Marguerite Gautier le camelie. MR, sotto lo sguardo torvo della belva che esige condivisione, cede e le mette un po' della sua ricotta sul coperchio della confezione. Il coperchio cade dal tavolo, cade, fottutamente e per colpa di una stupidissima legge di Murphy, al contrario, spiaccicando, rovinosamente, la ricotta sul pavimento. MR, preda di una incauta fretta, vittima di un famelico sconforto, soprassiede guardando Gea che lecca il pavimento e addentando la fetta di pane e ricotta. Si imbratta il muso, si pulisce, sul tovagliolo c'è sangue. Sulla ricotta pure. È l'implacabile herpes. MR non si lascia impressionare, è sangue del suo sangue, mangia pane e ricotta con scaglie di herpes. Riprende a vestirsi, sul giubbotto infila il tunicone impermeabile da scooter, che manco gli Etruschi, gli Osci, i Romani, Cesare, i consoli, i generali, Padre Pio, i Ku Klus  Klan, e che dopo sei anni di scooteraggio feroce, sotto acqua, vento, e neve, si è decisa a comprare. Esce di casa buttando un occhio all'ombrello, "Lo prendo, non lo prendo, ma no, ho il tunicone, il casco, sono imbottita e chiusa come un salame". MR,   implasticata, sottovuoto, guarda, sfidandolo, il cielo gonfio di pioggia "Piovi, ora! Manda giù il diluvio, ché qui Noè si è attrezzata adeguatamente!"  Per qualche chilometro neanche una goccia d'acqua, strade semiasciutte, degli allagamenti e delle esondazioni paventate dai media locali neppure un rigagnolo. Noè in scooter risulta quasi fuori contesto. Dopo una insignificante tregua, solo qualche centinaio di metri prima del parcheggio, l'esiziale inondazione divina decide nuovamente, con l'ostinazione di un mulo, di punire la civiltà, l'inciviltà, gli scooteristi rampanti, la Firenze che rientra a casa e quella che esce a cena, l'elettorato che ha votato alle primarie e quello che non crede più nel PD,  il pubblico della Turandot e MR che, abbandonato il piglio sicuro di Noè, procede all'allagaggio verso il teatro in una inefficace quanto grottesca versione Yuri Gagarin, dentro un sacco di plastica stretto in vita, e con il casco ancora in testa, e, sempre in testa, la visione netta dell'ombrello che da casa fa il gesto dell'ombrello. All'orizzonte l'ingresso che dà su un ampio spiazzo che quasi quasi non ha nulla da invidiare a Places des Quinconces, sul quale si staglia quella parte di pubblico di Turandot graziata dall'inondazione divina. MR, vessata, fradicia, sulla Places, sotto centinaia di occhi - per usare un'espressione elegante - curiosi, asciutti e al riparo, e - per usare un'espressione meno elegante - stronzi fottuti, anziché camminare zoppica, con il vestito da concerto appiccicato alle gambe come una cozza patella al suo scoglio. Per facilitarsi la passeggiata, tenta il sollevamento di un lembo, emerge lo stivale sinistro con il calzettone norvegese che fuoriesce diserotizzante. Nella sua mente prendono forma propositi suicidari. MR, fa il suo fradicio ingresso, si dirige verso i camerini, esce dalla tunica, dal casco, dagli stivali, dai calzettoni norvegesi, calza le scarpine tacco dodici, scamosciate con bordino in vernice nere da bambolona deficiente, sotto il vestito da torcere, lo torce e inizia a lavorare.

6 commenti:

  1. Parafrasando Mario Andrea Rigoni, mi sembra di capire che adori il caos, ma detesti l'imprecisione.

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    1. Nel mio disordine c'è il mio ordine. Pare si dica così, o no? Seeeeeeeeee

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  2. Ma che giornatona!
    Complimenti anche da Paperino che non è mai arrivato a tanto!
    P.S. Come scrivi bene, tesorina.
    Da farti perdonare tutto quel caos di cui ami circondarti!

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  3. La sindrome di Paolino paperino mi affligge da sempre. Grazie streghi a, sei tu un tesoro, e ti meriti che io la smetta con la meschina parzialità di sentire solo maina e che chiami anche te. Solo che ho il tuo cellulare, mi serve un fisso se ce l'hai. Baci

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  4. Sempre molto divertente, Em Rose...magari nel mentre non ti sei mica divertita molto, ma il tuo modo di raccontare il tutto, ingentilisce gli spigoli e tira fuori sorrisi ad ogni dettaglio :-)

    Paperino (insieme a Charlie Brown) è anche per me un nume tutelare delle mie giornate :-)

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  5. Grazie, caro Gilli. Questo per me è il più invogliante stimolo a continuare a farneticare. ;) baci

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